Entrate nelle case degli altri. Prima cercate di ricordare le
case delle vostre nonne, delle vicine delle vostre nonne, delle ziette che
siete andate a trovare solo una volta, normalmente il giorno di Ognissanti.
Nel centro di Torino le ziette abitavano in un vecchio palazzo
Liberty del centro, dovevi mettere 10
centesimi nell’ascensore per farlo partire, la zietta aveva splendidi
orecchini e radi capelli dorati. E ti donava un gianduiotto che mettevi in
tasca. E dopo qualche ora era tutt’uno con il maledetto pantalone grigio di
vigogna che mettevi solo in quelle occasioni. E ti chiamavano “stellina”…
Oppure la zietta abitava in un palazzo con un sacco di
campanelli, un sacco di scale, un sacco di corridoi. Odore di cucina sulle
scale e il cartello: “è vietato il giuoco del pallone” oppure “è vietato
l’ingresso agli ambulanti e ai meridionali”. E sull’ascensore c’era scritto: si prega di chiudere le
porte. Il divano e le sedie talvolta erano avvolti dal cellophane dove un
cagnolino isterico tentava invano di salire.
A volte la zietta possedeva una stufa, in cucina, un
capolavoro del design domestico, il potagè. A volte aveva galline e conigli un
cortile e il bagno oltre il cortile. E un’infinità di gatti.
Ecco, in ognuna di quelle case tu sapevi – pensateci – o
vedevi o toccavi almeno un manufatto, almeno una creazione fatta da una donna.
Una tenda, un cuscino, una coperta, un abito, un golfino, un berretto, una
babbuccia, un centrino, un grembiule, una presina, una torta, una marmellata,
un succo di amarena (ritornerai, succo di amarena, ritornerai), una
“giardiniera”. Non parlo di orti e giardini perché non conosco l’argomento.
Oggi resistono: quadri fatti con le foglie secche, sassi
dipinti, e non mi viene in mente altro. Ok, qualche ricamo a punto croce.
Voglio sapere dove è finita l’arte domestica.
Non confezioniamo più tende, cuscini, maglioni, torte e
berretti perché li comperiamo. Non capisco niente di economia ma so che abbiamo
perso moltissimo. Non abbiamo più bisogno materiale di cucire un berretto o una
presina. Quindi perdiamo l’arte, perdiamo la tecnica, la pazienza, la cura,
l’attesa, le stagioni del caldo e del freddo, l’usura, e di nuovo l’attesa. Ha
molto a che fare con la nostra sempre più labile salute mentale. Infatti
adoriamo leggere libri mal scritti in chiave porno soft, facciamo nascere i
figli con un colpo di bisturi, compriamo poliestere dai cinesi e ci caliamo
tonnellate di ormoni e antidepressivi.
“Arte domestica” è un’espressione che mi ricorda tanto la
scuola dalle suore nel dopoguerra dove si imparava a fare l’orlo “a jour”, o
addirittura i “raduni della befana fascista”… ma mi piace, mi piace tanto.
L’arte domestica non è più il nostro ruolo, il nostro dovere, la nostra
normalità, la nostra quotidianità, il nostro piacere. E’ il nostro
antidepressivo.
Vi prego, raccontatemi che cosa fate nelle vostre case per far
sopravvivere l’arte domestica.
Cara Martula,
RispondiEliminae’ passato un anno da quando hai pubblicato questo post. Arte Domestica.Il nostro antidepressivo.
E’ domenica pomeriggio, sono le sei, fuori pioviggina. In casa ,depressione totale. Esco a fare due passi in centro, nella zona pedonale.
Nonostante la liberalizzazione delle aperture domenicali, pochi negozi sono aperti.
In realtà molti, lo vedo dalla carta di giornale appiccicata sulle vetrine, non apriranno né domani né dopo.
Sbircio dentro le vetrine accese. Dalle facce anche i commessi sembrano depressi.Forse perché è domenica e vorrebbero essere a casa,forse perché non entra nessuno,forse per entrambe le cose.
In una via trasversale vedo una luce. Un buco di bottega, tre metri per due, dentro una ragazza ed un ragazzo che non fanno quarant’anni in due.
Ridono,guardano a turno ciascuno il lavoro dell’altro, dietro una montagna di indumenti di vario genere e colore. Non mi sembrano depressi.
Stanno seduti dietro due macchine da cucire. Sulla vetrina la scritta ”Sartoria cinese”. Sto a guardarli un po’.
Poi mi convinco. Torno a casa e spolvero la mia vecchia macchina da cucire.Come antidepressivo. Perchè credo ce ne sia bisogno. Sì,abbiamo bisogno di cucire un berretto o una presina.
Zabi